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Editoriale

Abiti che si schierano. Che trasmettono idee. Che protestano. Abiti che parlano, che gridano “More democracy”. Abiti per regine combattive, per angeli militanti, che sfilano, audaci, dentro la chiesa di St John in Smith Square, sotto a bandiere appese, fluttuanti, raffiguranti labbra rosse e la scritta “Homo Loquax”. Vivienne Westwood compone un manifesto tessile per salvare il mondo dal climate change. Plasma il suo appello nelle stoffe. Alza la voce. L’alfabeto è unisex. Sopra ad un grembiule bianco arricciato svetta la domanda “Evolution?”. Una T-shirt stampata dice “We sold our soul for consumption”. C’è il simbolo di picche sulla felpa blu. Roulette, graffiti, scarabocchi, carte da gioco, rigature: è il tripudio delle stampe e del colore. Non mancano giochi di abbinamenti e contrasti, con drappeggi, fiocchi e nastri, completi gessati, tailleur formali, body, anfibi in vernice e pelle. Per un manifesto dalle nuance carminio, pesca, oliva, giallo zolfo, grigio fumo.